di Sabrina Conti
Ho fatto un sogno.
Ero in un grande salone
con tutte le massime cariche religiose politiche mondiali.
Vi erano amici cari e sconosciuti.
Ci stavamo per sedere a pranzo tutti insieme.
Tra noi era seduto un terrorista, stravagante e sorridente.
In un piccolo foglietto avevo segnati tre punti; quando tutto fosse stato silenzio, alzandomi avrei dovuto tenere un discorso.
Era tutto concordato e studiato a tavolino col Papa, il Pesidente USA, i Ministri …
Il terrorista aveva dei riccioli che incorniciavano il suo volto orientale, non era un uomo qualunque.
Nessuno lo era li, si sarebbe detto in apparenza.
i Potenti attiravano l’attenzione visiva e così, malgrado ci fossero centinaia di persone, si scorgeva solamente la bianca tunica di Sua Santità, gli ricchi abiti dei Governanti e la Luce che inondava vestendoli, di alcuni Uomini di Verità.
Gli altri volti erano riconoscibili per la frequentazione in questa vita, per la condivisione di un cammino, per la comunione nel sentire la nostra impotenza di agire, pur percependo il profondo dolore del Mondo.
Mischiate a noi tutti, persone armate, a difesa delle nostra vite.
Mi alzai, come era concordato.
Tutti i Potenti, a prescindere da dove avevano scelto di sedersi, mi si avvicinarono a protezione, e così pure le armi.
Dovevo rivolgermi al terrorista; si, dovevo farlo io: avevo ricevuto delle minacce.
Guardai i tre punti ed iniziai:
<Santissimo Padre, Illustrissimi Presidenti … man mano che il silenzio avanzava, la mia voce diventava sempre più forte e sicura <carissimi amici>.
Il mio sguardo si era posato sul ‘nemico’ in fondo ero lì, proprio per lui.
Stavo sprofondando in una forte empatia con lui: <Carissimo Fratello> dissi avvicinandomi, confondendo gli schemi, ritrovandomi all’interno di un cerchio stipato, protetta da tutti i Grandi; un cerchio che si muoveva con me.
<Tu mi hai minacciata, e con me hai minacciato tutti noi>.
Ci guardavamo: lui con gli occhi color del cielo, i capelli color della terra;
<ma io ti perdono> mi sentii dire <si, vedete, siamo tutti qui perché abbiamo paura di perdere i nostri valori, le nostre ricchezze, la nostra stessa vita, ed accusiamo lui di volercene privare>.
La mia mano e la sua si toccarono, e poi il polso e si sfiorarono le braccia, le sue vene pulsavano con ardore; vidi spazi aperti, colline di sabbia e mari.
<Io ti perdono> continuai, mentre intorno Tutti sorridevano compiaciuti per il gesto plateale, ma al contempo tremavano temendo il voltafaccia di lui, ricordando perché erano lì: la punizione esemplare.
Lo abbracciai e lui mi abbracciò.
il foglietto cadde; intravidi tre parole: potere, nemici, fine.
Scorsi dietro le Grandi vetrate degli uomini muoversi come ombre e sentii tra il suo corpo ed il mio un’arma.
Fu un attimo.
Mi disse: <se non lo faccio mi uccideranno>.
Risposi: <non mi abbandonare, aiutami>.
Una voce arrivava da un auricolare: chiedeva l’ordine di agire.
Lui mi guardò, buttò via il mitra e col suo corpo mi protesse.
Passarono minuti eterni, si udirono spari, urla…
Lui Prese una pastiglia: doveva morire.
Gliela tolsi dalle labbra, la gettai.
<Tu non sai cosa succederà qui, ora. Meglio non vedere, non subire, meglio morire>.
Disse con un viso da bambino cocciuto, cresciuto troppo in fretta.
<Portami fuori da qui> dissi io.
Armeggiò con una porta, ci ritrovammo in strada, tra la folla.
Guardando il bus che conteneva Tutti i potenti da cui eravamo scappati, disse:
<guarda salteranno tutti in aria tra pochi attimi>.
<tu hai salvato me ed io ho salvato te e Tutti gli altri>.
<Non accadrà> risposi,
Ed era così, ancora una volta, avendo in molti creduto in me, ero sopravvissuta. (SC)
Il pullman si perse nel traffico; emanava una luce particolare, la luce che sprigionano i cuori felici, che hanno agito nel bene, a costo della propria libertà per difendere quella di Tutti.